Energie rinnovabili: a che punto è il mondo?

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Nov 142010
 

Intervista ad Alexander Ochs, direttore del Climate & Energy Program del Worldwatch Institute.

di Alessandra Viola

La domanda energetica mondiale nel 2030 può essere ridotta di un terzo semplicemente puntando sull’efficienza.  E la metà della rimanente domanda potrà essere garantita dalle rinnovabili, con una diminuzione delle emissioni di gas serra pari al 52%.  Ma a patto che modifichiamo il nostro stile di vita. 

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Vent’anni di tempo per dimezzare le emissioni globali di gas serra e provvedere alla metà del consume energetico mondiale con le rinnovabili.  O sarà un disastro.  Vent’anni per contenere il global warming entro livelli accettabili per il Pianeta, ma anche vent’anni per essere tutti un po’ più felici.  Detta così sembra un’enormità, una cosa assurda o al meglio semplicemente un’utopia.  Al Worldwatch Institute di Washington però fanno sul serio.  E nello State of the World 2010, insieme al rapport Renewable Revolution, hanno messo a punto uno scenario future tutt’altro che campato in aria.  Secondo le nostre proiezioni, che sono diverse da quelle elaborate dall’Agenzia internazionale per l’energia e che abitualmente si usano come scenario di riferimento- spiega Alexander Ochs, direttore del Climate & Energy Program del Worldwatch Institute- la domanda energetica mondiale nel 2030 può essere ridotta di un terzo semplicemente puntando sull’efficienza.  E la metà della rimanente domanda energetica, sempre nel nostro scenario, potrà essere garantita dale rinnovabili con una diminuzione delle emissioni di gas serra pari al 52%.  Naturalmente, a patto che introduciamo un efficace sistema di regolamentazione e modifichiamo il nostro stile di vita: se ognuno dei 6,8 miliardi di abitanti della Terra conducesse una vita simile a quella di un nordamericano medio, il Pianeta sarebbe già collassato.

[Read the full article published in Oxygen 11 (10/2010): “Green Power”]

Ma questa è l’unica via

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May 042010
 

A colloquio con Alexander Ochs, direttore del programma

È uno dei massimi esperti americani di politiche energetiche, nazionali e internazionali, e di sicurezza energetica. Il suo nome è Alexander Ochs e La Nuova Ecologia l’ha intervistato per fare con lui un punto sull’impegno, e sui risultati, di Obama sul fronte della lotta ai cambiamenti climatici.

Qual è lo stato della legislazione statunitense sui cambiamenti climatici?

Per chi non conosce il nostro sistema politico – la divisione del governo, i controlli e i bilanciamenti dei poteri esecutivo e legislativo – è difficile capire. La Camera dei rappresentanti ha approvato a giugno l’American clean energy & security act,

un documento con obiettivi modesti e a lunga scadenza su clima ed energia. È stata però la prima volta che una Camera ha approvato una legge per limitare le emissioni dei gas serra. Una legge, va sottolineato, passata per pochi voti: 219 contro 212, solo 8 quelli republicani. Ora tutta l’attenzione è al Senato, dove i democratici Barbara Boxer e John Kerry hanno portato a settembre il Clean energy jobs and american power act, una nuova legge sulle emissioni che implica massicci investimenti nelle energie pulite e nella ricerca e cattura dell’anidride carbonica. Vista con favore dagli ambientalisti, ha incontrato l’opposizione dei conservatori, che la ritengono troppo complicata, costosa e d’ampio raggio. Se passerà non sarà nella versione originale.

Ora che cosa accadrà?

Sono in discussione altre leggi. Innanzitutto il Carbon limits and energy for America’s renewal act, introdotto a dicembre dalle senatrici Maria Cantwell e Susan Collins. Con limiti più modesti sulle emissioni, questa legge cerca nuove strade nel dibattito sul cambiamento climatico e sull’energia. Prevede un sistema di tetti e dividendi che fornirebbe fino al 75% degli introiti della vendita all’asta dei permessi d’inquinare alle famiglie per compensare l’aumento dei costi energetici, che si presume saliranno dopo la regolamentazione delle aziende. Il rimanente andrebbe a un fondo di ricerca e transizione verso un’economia pulita.

 [Si prega di leggere l’intera intervista qui]